(Avv. Monica Gazzola) C’è, nel profondo del sentire umano, il images-1ricordo – o il sogno – di un tempo in cui animali ed umani parlavano la stessa lingua.

E’ un archetipo che compare in pressoché tutte le culture.

E sempre, l’età della lingua comune tra animali ed umani, è l’età felice, l’età dell’oro, l’Eden.

E’ nota la descrizione dell’Eden nella tradizione giudaica. E’ altrettanto nota la narrazione della cacciata dal Giardino.

Nella vulgata canonica non v’è un esplicito riferimento ad una qualche comunanza linguistica tra Adamo, Eva e gli animali. Ma proprio il passo cruciale della narrazione lo sottointende:

“Ora il serpente era astuto più di tutti gli animali selvatici che Iddio aveva fatto. Disse dunque alla donna: Davvero Dio vi ha detto: Non mangiate di alcun albero del giardino?” (Gen. 3,1).

La comunanza di linguaggio comporta la comunanza di vita: quando tutti gli esseri viventi parlavano una sola lingua, uomini ed animali vivevano in pace, nutrendosi di frutta e semi. Non si uccide, non si mangia chi parla la nostra stessa lingua:

“E Dio disse: Ecco, io vi ho dato ogni erba dotata di semenza, che genera seme, che è sopra tutta la terra, e ogni albero che ha in sé un frutto portatore di semenza: questo sarà per il vostro nutrimento; anche per tutte le bestie della terra e per i volatili del cielo e per ogni rettile che striscia sulla terra, che ha in sé anima di vita, ogni erba verde (sarà) per loro nutrimento”(Gen. 1,29-30).

Quel che è sottointeso nella vulgata della Bibbia, è esplicitato nel Libro dei Giubilei, un apocrifo del II secolo prima dell’era cristiana, che è una riscrittura della Genesi:

“E in quel giorno la bocca di tutte le fiere, di tutti gli animali e degli uccelli, di quelli che camminano e di quelli che si muovono, smise di parlare perché tutti (in precedenza) avevano parlato l’uno con l’altro, un sol labbro e una sola lingua. E Dio mandò via, dal giardino dell’Eden, tutti gli esseri di carne che stavano nel giardino e si sparsero, secondo la loro specie e la loro natura, nei luoghi che erano stati creati per loro”.

La cacciata dal Giardino dell’Eden segna per sempre la fine della comprensione tra uomo e animali. E’ ben percepibile il richiamo al racconto della torre di Babele (Gen. 11, 8-9), qui esteso a tutte le creature.

Anche Flavio Giuseppe racconta che nell’Eden tutte le creature avevano una stessa lingua; ma Dio, adirato con il serpente, gli tolse la voce (Antichità Giudaiche 1,41 e 50); così pure nel Libro dei segreti, si narra di come Dio privò di ragione e rese muti gli animali per una loro totale sottomissione all’uomo (58,3).

L’esistenza di miti che narravano della comunanza di lingua è ricordata da Filone di Alessandria nel Commentario alla Genesi. Il passo è assai significativo, perché Filone collega la comunanza di lingua alla comunione di sentimenti:

“Si racconta che anticamente tutti quanti gli animali terrestri, acquatici e altri parlassero una medesima lingua (…) tutti parlavano con tutti su ciò che eventualmente si doveva fare o subire, cosicché nelle avversità si condividevano le pene e se mai capitava qualcosa di buono, anche le gioie. E potendo comunicarsi, a motivo della lingua comune, gioie e dolori, essi condividevano questi stati d’animo. Da ciò derivava una comunione di sentimenti e di atteggiamenti” (De confusione linguarum, III, 6-8, p. 1045).

Vi è una impressionante rassomiglianza tra questi racconti ed i miti sulla creazione presenti nella cultura degli Indiani di America.

Secondo la mitologia Sioux, vi fu un Primo Uomo, che frequentò il popolo degli animali. Il Primo Uomo apprese i loro usi ed il loro linguaggio, perché un tempo gli animali avevano una lingua comune; imparò a cantare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, e ad arrampicarsi sulle rocce come le pecore della montagna.

Così come nella narrazione ebraica, alla comunanza di linguaggio corrispondeva una comunanza di vita. E, sempre analogamente alla narrazione ebraica, quando questo stato felice cessò, vi fu la battaglia del Primo Uomo contro gli animali, e poi contro gli elementi (Eastman, The soul of the Indian).

In tutti i miti sulla Creazione sopra richiamati, emerge è una stretta interdipendenza tra comunanza di linguaggio, comunanza di vita e assenza di conflitti.

E questa intima connessione riaffiora anche in una delle più belle leggende ebraiche, che – non a caso, ritengo – dà anche il titolo ad una delle più note opere di etologia divulgativa.

Il re Salomone, grazie ad un anello magico, parlava con i quadrupedi, con gli uccelli, con i pesci e con i vermi. Ma, un giorno, accecato dall’ira per avergli un usignolo svelato che una delle sue mogli lo tradiva, egli buttò via l’anello magico. E da quel giorno, il suo cuore si indurì verso gli animali (Lorenz, L’anello di re Salomone).

Anche nel cuore della Grecia classica riecheggia il mito di un Eden primordiale, l’età felice narrata da Empedocle , una originaria vita ove non esistevano guerra, caccia, proprietà. Ed è Platone che ne coglie il richiamo nostalgico:

“Allora gli uomini avevano grande disponibilità di tempo e potere di stabilire relazioni e conversazioni non solo fra gli uomini, ma anche con le bestie, facevano uso di tutte queste condizioni in funzione della filosofia, discorrendo appunto fra loro e con gli altri animali “ (Platone, Politico).

E gli uomini della città “sana”, non ancora corrotta dall’opulenza e dal desiderio di potere, seguivano un’alimentazione vegetariana (Platone, Repubblica, II, 372 b-e).

Infine, uno sguardo ad Oriente.

Il pellegrinaggio è uno yoga e un esercizio devozionale antico quanto il buddismo. Attraverso la pratica del pellegrinaggio, il buddismo tibetano aspira all’ottenimento della buddhità (lo stato di perfezione) ed al conseguimento di poteri magici, propri della buddhità. E tra i poteri magici figura la capacità di capire il linguaggio degli animali e degli uccelli (Dowman, The secret life of Tibet).

Di questo archetipo comune, di questa sorta di ricordo inconscio che accumuna tutti gli uomini, rimane oggi un eco nell’atteggiamento dei bambini verso gli animali.

I bambini non vedono alcuna differenza tra la propria natura e quella degli animali: il bambino non si meraviglia che nelle favole le bestie pensino e parlino. E’ solo quando il bambino diventa adulto, che “Si sentirà così estraniato dagli animali da poter usare i loro nomi per ingiuriare un uomo” (Freud, Una difficoltà).

Non voglio crescere, mai.

(Dedicato a Safari e alla sua famiglia, che ho conosciuto nella foresta di Bwindi, al confine tra Congo e Uganda, e a tutti  gli ultimi 300 gorilla di montagna)