Per tutto il giorno si arrovellò su come la storia fosse andata a finire.
Ma non le veniva in mente niente. Solo il ricordo di un trafiletto sul giornale locale dove si diceva che il lupo stava migliorando, aveva riacquistato gradualmente coordinazione e sicurezza nei movimenti, seppure ancora insufficienti, per il rilascio in natura.

Era troppo poco per riportare a galla tutta la verità e ricamarci sopra un finale credibile. Forse, pensandoci, sarebbe stato meglio mettere a riposo i neuroni e concludere nel modo più tradizionale: il lupo, che aveva plausibilmente agito in modo aggressivo, era stato colpito in un atto di difesa ed era deceduto.
No, non era in giornata, era evidente.

Continuava a pensare alle immagini del video su Youtube riguardanti il salvataggio: prima di allora non aveva mai pensato che una donna potesse fare la respirazione bocca a bocca ad un lupo, e la sola idea di tanta impulsiva generosità non aveva mai smesso di emozionarla.
In seguito, quando il lupo aveva anche iniziato a mangiare dalle mani di lei, si era convinta che tutto sommato l’incidente aveva avuto degli sprazzi di poesia: il bosco, la montagna, il suono dell’acqua, la dedizione dei soccorritori, e che il lupo avrebbe almeno potuto trovare un po’ di consolazione di lì a poco, visto che lo avrebbero accudito notte e giorno come un neonato. Ma quando poi sentiva l’eco sinistra della pioggia di piombo che gli aveva paralizzato le zampe posteriori era impossibile sottrarsi all’immagine del dolore che doveva aver provato e che chiunque avrebbe somatizzato man mano che il video indugiava sui dettagli.

Trentacinque pallini di piombo, paralisi degli arti posteriori, forse non ce la farà, tac, radiografie, anestesie, analisi del sangue, isolamento in un recinto, per molti mesi.
Si era impantanata in quell’orribile faccenda e non c’era verso di venirne fuori. In più, l’idea del silenzio lento del recinto dove avrebbe passato la convalescenza e il senso di solitudine non l’aiutavano a sentirsi più ottimista.

Per l’ennesima volta cercò innervosita di ricordare, ma per quanto s’incaponisse, un finale decente proprio non arrivava. Muovendosi qua e là tra le immagini dentro lo schermo, queste non la smettevano di aggiungere confusione e si mescolavano con altri ricordi, quelli infantili di bimbi, nonne e lupi famelici, e ancora con una miriade di documentari che raccontavano la vita selvaggia di lupi come Navarre, balla coi lupi, il mistero della natura, il destino della vita stessa. Dal vuoto del recinto di fronte a lei si ritrovò poi catapultata in una specie di limbo: la parte superficiale della sua mente voleva che tutto finisse per il meglio, che il racconto della vita di Navarre risultasse ben strutturato e compiuto, con una buona dose di lieto fine. L’altra, quella nascosta, non cercava certezze, rimaneva lì a fantasticare sul lupo trasformando l’impotenza davanti a quel destino sfortunato in amore profondo per un docile animale ferito.

Per quanto si sforzasse questo era tutto.

Poi, all’improvviso, Navarre si era tirato in piedi a fianco a lei come le zampe gli consentivano di fare e agitava la coda per disperdere un nugolo di moscerini.
La fine poteva dunque diventare tante cose.

Finalmente lo vide.

Era nel bosco, in libertà, nessuna cosa contava di più adesso. L’odore del sottobosco, il rumore del ruscello, gli spicchi di cielo tra gli alberi erano gli stessi di sempre, nulla era cambiato.
Era di nuovo a casa. Avrebbe ritrovato il suo branco, rivisto i cuccioli, cacciato per loro.
Avrebbe ricominciato tutto esattamente da lì. Da dove era stato brutalmente interrotto.

(by Maria – liberamente ispirato alla storia del lupo Navarre)

(“ Il lupo Navarre non ce l’ha fatta. Salvato 4 mesi fa sugli Appennini, era stato curato al centro
Monde Adone di Brento” – Corriere di Bologna, 14 maggio 2012).

Qui il video della vera storia