Storia di una tartaruga d’acqua dolce naufraga a Venezia, salvata da quattro sognatrici pragmatiche, e che ora vive felice nel laghetto dell’Hotel Cipriani.
(by Alice Di Lauro) Non so che cosa mi leghi alle tartarughe. Forse lo scoprirò nelle prossime settimane di Butoh. A pensarci, quella volta dell’incontro con l’animale totem, mi sono apparse loro fluttuanti nell’acqua… siccome non mi andava tanto l’idea della corazza, le ho subito sostituite con qualcosa di peloso. Quest’idea di essere come una tartaruga che si nasconde dentro il suo guscio cozzava con l’idea che mi ero fatta di me stessa.
Poi, poche settimane fa, faccio un incontro ravvicinato con una di queste.
Ma com’è finita, qui dentro?
E soprattutto, com’è passata da qui a… qui?
Ecco la cronaca dei fatti.
Sull’isola di San Giorgio uno sparuto capannello di turisti si raccoglie attorno a una scena insolita: una tartaruga sta cercando di risalire i gradini che affondano dentro il canale della Giudecca. L’azione si ripete sempre uguale: non appena la tartaruga raggiunge l’ultimo gradino, una pietosa turista di mezz’età la afferra e la ributta in acqua. Tenace la tartaruga ricomincia a risalire il vischioso tappeto di alghe: sarà grande due mani, ma le sue movenze la rendono magnetica allo sguardo dei passanti. La luce del tardo pomeriggio impasta i confini delle cose. E’ tragico e al contempo onirico questo mito di Sisifo vivente, sospeso nell’incanto dei riflessi acquatici.
Peccato che sono qui per lavorare, altrimenti… non faccio a tempo a autoconvincermi con la scusa più comune del mondo che Alessandro, il truccatore della troupe che sto accompagnando in un servizio fotografico di moda, pronuncia la frase da cui parte tutta la vicenda: “ma questa è una tartaruga d’acqua dolce!”. “Ma allora non può stare in laguna… cosa possiamo fare?” Faccio io. “Prendi una scatola, portala all’ombra”, mi fa lui, e si allontana per ritoccare la bocca della modella. “Ma… sto lavorando…”. In verità, nessuno ha davvero bisogno di me oggi. L’unica mansione affidatami è quella di fare la guardia ai capi d’abbigliamento. Posso benissimo fare lo stesso con la tartaruga. Le verso sopra dell’acqua dalla mia bottiglietta, mentre sporge con la testa dal buco della scatola facendo leva sulle unghiute zampe anteriori.
Capisco che mi ha incastrata dal primo sguardo che mi rivolge: determinato, paziente, combattivo, pieno di attesa. Uno sguardo che esige un’unica domanda: “Che cosa posso fare per Lei?”. Da quel momento, dopo aver formulato il suo Desiderio, la tartaruga non smette di seguire i miei movimenti con aria attenta e non priva di una punta di apprensione. Forse sa di essere capitata nelle mani di una persona che nutre dei dubbi sulla sua stessa affidabilità. Ma la sfumatura d’inquietudine che le indovino addosso è relativa solo ai tempi di realizzazione dell’opera: lo sguardo è quello di chi è assolutamente certo che otterrà il migliore degli esiti.
Quanto a me, mi accorgo di aver appena finito il credito telefonico. Decido di adottare un escamotage adolescenziale: faccio uno “squillo” ad Antonella. Forse può accogliere la tartaruga nel suo piccolo giardino frequentato da creature magiche (la prima volta che mi ha invitata a casa sua aveva da poco smesso di allattare dei pipistrelli e lei e il suo gatto stavano conversando con un enorme gabbiano che si ostinava a picchiettare il vetro della finestra deciso ad entrare in casa). Antonella è già alle prese con altre tartarughe e, pur rendendosi disponibile ad ospitarla per un po’, mi fa capire che ognuna incontra la tartaruga che si merita e che, in definitiva, sarebbe un peccato interrompere così presto la ricerca. “Chiamami se non trovi soluzioni”, mi dice decisa prima di riattaccare. E adesso? Dopo aver capito da Antonella che sarebbe meglio non optare per le fontane pubbliche (da qualche anno spariscono le tartarughe) ho un attimo di scoraggiamento.
La tartaruga è dentro la scatola e non più alla deriva sui gradini di San Giorgio. Sono stata io a mettercela lì. Non so se è una questione etica. E’ diverso dal sentirmi la potenziale salvatrice di una indifesa creaturina di Dio. Non c’entra la moralità, il narcisismo, il transfert e il controtransfert. E’ qualcos’altro. Il destino è una cosa concreta, passa tra le mani e ti chiede di essere modellato. Ma è invisibile, e lo puoi modellare solo se non sai cosa stanno facendo le tue mani.
Scrivo un messaggio a Zappo. Una che si firma con il nome del suo gatto e che si è laureata in filosofia con una tesi sugli scimpanzé Bonobo potrebbe forse aiutarmi anche se si tratta di tartarughe. Infatti non esita a mettermi in contatto con Maddalena, una biologa marina di Venezia. Nel giro di qualche minuti è la stessa biologa a chiamarmi. “Sai, io normalmente mi occupo di balene, ma tu mandami una foto della tartaruga e vediamo cosa possiamo fare”. Coinvolgo il responsabile dello shooting che – un po’ sorpreso da tanto movimento attorno al rettile – gli scatta una foto con l’I-phone e la spedisce alla biologa. Mentre questa si mobilita per contattare la protezione animali, mi chiama Monica-Zappo, eccitatissima: “Ho sentito una mia amica che lavora al Cipriani, hanno un laghetto di ninfee e sarebbero felici di ospitarla lì!”… In un attimo mi spedisce il numero e chiamo Arianna: “Entra pure, ho già avvisato in portineria: c’è un’altra tartaruga nel laghetto, sarà contenta della compagnia”. Incredula afferro la scatola con la tartaruga dentro, avviso i colleghi dello shooting che sarò di ritorno in una ventina di minuti e prendo il vaporetto. Dopo una fermata sono davanti al Cipriani. Entro dalla porta di servizio e un gentilissimo portinaio mi illustra il percorso fino al laghetto di ninfee.
Percorro un vialetto che mi conduce attraverso un prato verdissimo lungo un dedalo di siepi profumate, attraverso una hall – nessuno fa una piega alla vista di una giovane donna in infradito con uno scatolone di birre fradicio tra le braccia – e sbuco in un graziosissimo giardino che si affaccia sulla laguna nord, al centro del quale si trova un incantevole laghetto di ninfee. Giunta al limitare del laghetto, poso lo scatolone a terra e lo rovescio, giusto in tempo per vedere la tartaruga uscire in velocità e con gran risolutezza tuffarsi nel laghetto. Rimango accucciata sul bordo mentre si avventura sul fondo dello stagno. Compare più volte in superficie. nel giro di qualche minuto ha già esplorato gran parte del suo nuovo habitat. Dopo un po’ emerge l’altra tartaruga, di poco più grande. Mi osserva con confidenza e si avvicina senza timore. Si reimmerge e le vedo nuotare vicine. Qualche secondo dopo la mia tartaruga emerge dall’acqua e viene verso di me. Sono troppo turbata per rispondere al suo saluto. Giro le spalle, raccolgo lo scatolone e dopo aver riattraversato il giardino scivolo fuori dal portone.
Leggi questa ed altre storie di Alice, nel suo bellissimo blog.
Senso pratico ed coordinazione. Eppure è come leggere una bellissima favola!
Si! Una favola vera 🙂 Destino, amicizia, stelle favorevoli… ma soprattutto lei, la tartaruga 🙂