
Sara De Vido
Ho conosciuto Sara De Vido all’interno delle assemblee e degli eventi del CESTUDIR – Centro Studi sui Diritti Umani dell’Università Cà Foscari Venezia.
All’epoca Sara era una giovane entusiasta ricercatrice, sempre gentile e disponibile. Insieme, abbiamo vissuto i primi seminari e incontri sul tema degli animali non umani organizzati con il CESTUDIR, culminati con la pubblicazione nel 2015 del volume collettivo “Per gli animali è sempre Treblinka”, riuscendo a fare adottare dal CESTUDIR menù vegetariani/vegani per i buffet conviviali. Abbiamo poi continuato a collaborare per incontri di approfondimento e divulgazione in tema di diritti degli ultimi – donne maltrattate, immigrati, animali non umani.
Ora Sara De Vido è docente di diritto internazionale a Cà Foscari, giurista specializzata in diritti delle donne, autrice di numerose pubblicazioni e mamma della piccola Amanda. Ha mantenuto intatti entusiasmo, gentilezza e disponibilità, oltre alla passione per le escursioni in montagna non appena può.
Quando è iniziato il tuo interesse per gli animali non umani?
Il mio interesse per gli animali non umani è iniziato contestualmente al mio interesse per la tutela dell’ambiente e più e più negli ultimi anni, da quando mi occupo, da giurista internazionalista, di approccio ecocentrico al diritto. Studiando i diritti umani fondamentali, mi sono posta degli interrogativi sui diritti degli animali non umani (devo dire a cominciare da balene e lupi). Fondamentali sono stati per me alcuni incontri e seminari organizzati dal Centro studi sui diritti umani dell’università Ca’ Foscari e dall’incontro con persone speciali, inclusa te Monica, che mi hanno fatto molto riflettere. Sono convinta del fatto che i diritti degli animali non umani rientrino a pieno titolo nei diritti della natura, come del resto affermato recentemente da una corte dell’Ecuador. Per me dunque il dibattito su entrambi i profili è indivisibile. Non posso parlare di diritto degli animali non umani e non di cambiamento climatico, violenza lenta e altre emergenze.
Quando sei diventata vegetariana e poi vegana? Come mai?
E’ stato un processo di consapevolezza, non una decisione presa dal giorno alla notte. Negli anni ho ridotto prima la carne, poi il pesce, ho scoperto la bontà di prodotti che non conoscevo, inclusi tantissimi tipi di legumi, poi la quinoa, derivati della soia (tanto criticati, ma dovreste assaggiare il tofu in Giappone, squisito). Amavo già moltissimo la verdura e la frutta. Gradualmente ho ridotto i derivati del latte, per la semplice ragione che ci sono ottimi sostituti. Le scelte sono scelte sia etiche sia di salute. Etiche, per la tutela dell’ambiente e degli animali non umani (nonostante le fake news che si leggono online!); di salute, perché se ci si informa correttamente si scoprono i benefici di una dieta, bilanciata e controllata, interamente vegetale. Ci terrei a sottolineare che essere vegani non vuol dire mangiare meno e nemmeno solo verdura, vuol dire porre attenzione ai prodotti che si acquistano, sia in termini di composizione, sia in termini di sostenibilità.
Ti occupi da sempre dei diritti delle donne e delle forme di tutela contro abusi e maltrattamenti. Carol J. Adams in “Carne da macello” evidenziava la connessione tra sfruttamento del corpo femminile e sfruttamento del corpo degli animali non-umani. Ritieni ci sia una correlazione tra tutela delle donne e tutela degli animali non umani, tra femminismo e animalismo?
Questo è un mio ambito di ricerca recentissimo. Ho scoperto l’ecofemminismo grazie al mio lavoro per la rivista Deportate Esuli e Profughe. Ho scoperto che l’ecofemminismo non è mai stato esplorato dalla dottrina giuridica, eppure ci sarebbe molto da dire e spero di riuscire a farlo nei prossimi anni. Gli schemi di oppressione che si verificano intra specie si riproducono anche interspecie e attraverso le generazioni. Come cogliere questo collegamento sul piano giuridico anche in termini di obblighi in capo agli Stati?
A tuo parere, c’è spazio nell’Università italiana per temi quali animalismo, ecofemminismo, animal critical studies e animal critical pedagogy?
Moltissimo. Siamo fortunati ad avere già un corso in Environmental Humanities nella nostra università e un centro che si occupa di questi temi. Direi fondamentale. I giovani ce lo chiedono e noi abbiamo il dovere morale di rispondere come educatori/educatrici, studiose e studiosi.
Sei diventata mamma da poco tempo della splendida Amanda. Come gestisci la tua giornata?
Per me gestirla è davvero semplice. Sono fortunata, perché ho una bambina buonissima, che dorme di notte, un marito che è alla pari con me nel carico di cura e dei genitori straordinari di cui mi fido ciecamente. Oltre al nido naturalmente, davvero speciale. Quindi al mattino la mia bambina mi saluta con la manina e penso sempre che, anche se piccola, vede che la sua mamma è felice di stare con lei ma anche del lavoro che fa e che non lo sarebbe altrimenti. Rispetto moltissimo chi decide di seguire a tempo pieno i propri figli, anzi, ammiro molto queste donne, ed è una ammirazione sincera, ma io non potrei farlo. Certo, ora rinuncio a qualche convegno in presenza per l’online, ma il mio lavoro resta comunque importante.
I tuoi tanti impegni per l’Università, per le conferenze e per gli incontri di studio, anche all’estero, ti portano spesso a mangiare fuori casa. Come ti regoli? Hai difficoltà?
In genere non ho difficoltà perché penso sia sempre una questione di come si affrontano le cose. A Venezia forse più che all’estero le alternative scarseggiano. In alcune trattorie veneziane, l’alternativa è pasta al pomodoro, neanche fossi una bambina, o verdure. Io ordino dei contorni, di qualsiasi tipo, anche legumi, e sopravvivo. Certo, quando vedo la sensibilità di colleghi e colleghe che telefonano appositamente per me al ristorante o buffet con le bandierine vegan e vegetariano, chiaramente mi fa enorme piacere! Penso che sia una questione culturale e che il cambiamento si fa sensibilizzando. Quindi, so che per qualcuno sarà un’eresia, ma non rifiuto un pranzo in compagnia di cari colleghi e care colleghe solo perché ordinano carne o pesce. Se ordino io, opto per menù vegani, che vengono certamente apprezzati da tutti/e! Devo dire che i minori problemi li ho avuti all’estero, in particolare in Inghilterra e Belgio.
Che rapporto hai con la moda? Nelle tue scelte di acquisto che elementi prendi in considerazione, oltre naturalmente al fatto che una certa borsa o un certo paio di scarpe ti piacciano?
Allora, su questo punto sono ancora molto molto nuova. Devo dire che mi ispiro a due principi: uno è quello del riciclo e dell’uso prolungato. Mi spiego, per me ambiente e animali sono inscindibili. Se compro borse vegan, ma le cambio tutti gli anni non mi sento comunque sostenibile. Invece continuare ad usare la stessa borsa o scarpe fino a che sono davvero da gettare per me è un comportamento sostenibile. Il secondo è fare attenzione ai materiali, leggendo bene le etichette, cosa che si fa sempre meno, ma questo vale anche per i cibi.
Tra le tante proposte apparse in VegFashion di recente, ce ne è qualcuna che ti ha colpito particolarmente?
Mi è piaciuto tanto l’iniziativa “Inventa il tuo capo eco-veg invernale”. Purtroppo per ragioni di tempo non sono riuscita a partecipare!
Mi piacciono anche i consigli sull’abbigliamento, su cui ho molto da imparare!
Hai progetti prossimi in tema di diritti degli animali?
Certamente, sto continuando a lavorare sul tema dell’approccio ecocentrico al diritto internazionale e a breve sarò a Cagliari con una conferenza su questi temi. Sto anche cercando con delle colleghe e avvocate in gamba di presentare un progetto europeo! Vedremo. Le idee sono tantissime.
Cara Sara, grazie! Condivido le tue riflessioni – la ricerca di una tutela giuridica di diritto internazionale per gli animali e l’ambiente, la necessità di ridurre i consumi, dell’uso e del riuso, e l’importanza di mantenere disponibilità e gentilezza anche nei confronti di chi non condivide la scelta veg. Un abbraccio grande a te e Amanda, e ai prossimi progetti!
Bellissima intervista