
Monica@VegFashion
Dieci anni fa, nell’autunno del 2012, iniziavo la mia avventura con VegFashion. Ero vegetariana già dal 1996, e poi vegana, per scelta etica antispecista e non-violenta. Tale stile di vita e di azione rappresenta per me un forte tratto identitario e guida il mio modo di vivere. Mi si è posta così quasi da subito la questione dell’indossare abiti e accessori di origine animale, non solo per coerenza intrinseca, ma anche per il valore profondamente simbolico e comunicativo dell’abbigliamento. Parafrasando Desmond Morris e il suo rivoluzionario saggio “La scimmia nuda” (1967), credo infatti che l’essere umano possa definirsi “la scimmia vestita”: scimmie, perché geneticamente siamo scimmie antropomorfe, della stessa famiglia di gorilla, scimpanzé, bonobo e oranghi; vestite, perché il rivestire il corpo di manufatti è nostra esclusiva singolarità – non è l’intelligenza né il linguaggio a distinguerci dagli altri animali, potendosi solo individuare modalità diverse di presenza e esercizio, ed essendo il logocentrismo solo un pregiudizio antropocentrico. Quel che indossiamo comunica al mondo e a noi stessi il nostro status, quel che siamo o vorremmo essere. Travestimento o esibizione, mera necessità o eccesso, il nostro guardaroba rassicura, disorienta, scandalizza o conferma identità o ambizioni.
All’epoca, parlare di moda vegan suonava quasi blasfemo: calzature e borse di buona qualità, tutte, dalle più pregiate alle più cheap, odoravano di pelle e cuoio, e la moda, tutta la moda – sia l’alta moda delle sfilate e delle riviste patinate, sia la moda di tutti i giorni, per recarsi al lavoro o a un incontro conviviale – d’inverno si copriva di pellicce, piumini d’oca, bordi in pelo e lane pregiate. La moda vegan era relegata in un angolo buio e triste, immaginata collettivamente come un’accozzaglia di scarpe in plastica made in China, borse sfilacciate da vecchi hippy e repellenti tessuti sintetici.
Mentre si riusciva, accontentandosi un pò, a trovare borse e borsette in materiali alternativi, era invece pressochè impossibile scovare calzature che non fossero in pelle e cuoio. Per qualche tempo ho continuato così ad acquistare e indossare scarpe in pelle e cuoio, sia perchè non trovavo alternative decenti, sia soprattutto perchè ero convinta che pelle e cuoio fossero sottoprodotti, scarti della macellazione di animali che comunque venivano uccisi per fornire carne:“Purtroppo al momento il mondo è pieno di umani carnivori, in fondo il cuoio è l’utilizzo di uno scarto” cercavo di convincermi.
Ma mi sentivo sempre più imbarazzata e triste, come Elizabeth Costello – la protagonista di “La vita degli animali” di J.M. Coetze – che, guardandosi le scarpe ai piedi, pensava che stava indossando la pelle di un cadavere.
Ho cominciato a informarmi sulla filiera di pelle e cuoio, e ho così scoperto quel che in cuor mio forse avevo sempre saputo e temevo: la produzione del pellame per borse e calzature è uno dei pilastri economici dello sfruttamento degli animali, e non si tratta di “sottoprodotti” bensì di animali in gran parte allevati e uccisi appositamente per la moda (vedi qui l’approfondimento).
Ho così deciso che non volevo più contribuire in alcun modo alle sofferenze degli animali non umani. Non trovando nulla nei negozi, ho cominciato a setacciare il web, a frequentare fiere vegetariane e artigiani, cercando capi belli e cruelty-free, rispettosi anche dell’ambiente e dei lavoratori, scoprendo via via prodotti fantastici e belle persone. Raccontando entusiasta queste ricerche a amiche e amici, mi è stato chiesto “Perchè non condividi queste scoperte?”. Ci ho pensato un pò e, grazie a Enzo Mangrella, informatico geniale e paziente, che ha creato il sito e continua a seguirne gli aspetti tecnici, e a Laura Pelan, UX designer, alla quale devo l’impostazione grafica, nell’autunno del 2012 è nato VegFashion.
Con VegFashion, cerco di offrire informazioni su nuovi materiali vegan e eco-sostenibili (qui ad es. l’approfondimento sulle alternative alla pelle), fornire indirizzi di brand e punti vendita, portare alla luce le violenze insite nei prodotti c.d. “tradizionali” (qui l’approfondimento sulla lana), dare strumenti per acquisti consapevoli (qui ad es. la mia inchiesta sulle borse Vuitton), fare conoscere persone, eventi e letture che contribuiscono alla svolta vegan.
Tra le tante belle persone che ho intervistato, mi piace ricordare in particolare (in ordine cronologico di incontro): Roberta Gentile fondatrice di TU&TU, Stefano Bonaventura fondatore di Quagga, il filosofo animalista Leonardo Caffo quando era ancora un giovane sconosciuto, Will Green fondatore di Will’s Vegan Store, Valentina Roman fondatrice di Valentina Roman Studio, Alice Salvini fondatrice del negozio Altrotipo a Bologna, gli scrittori animalisti Annamaria Manzoni e Dario Martinelli, Veronica Parissi e Giovanni Brugnolaro fondatori del negozio e brand VeganShoes Italy, Nicolò Amati fondatore di Solari Milano, Sara De Vido che ha portato i diritti animali all’Università, Simona Segre-Reinach con il suo recentissimo e fondamentale “Per una moda gentile”.
Voglio ricordare anche le Streghette di Pratica Filosofica, con le quali abbiamo condiviso tante iniziative e riflessioni sugli animali umani e non umani, e che tanto mi hanno aiutato agli inizi di questa avventura: Grace Spinazzi, Elisabetta Favaretto, Laura Candiotto, Francesca Luise e Chiara Fornasiero. E Luciana Baroni, che da sempre mi sostiene e aiuta nelle mie scelte veg.
In questi lunghi dieci anni, la sensibilità animalista si è diffusa, e anche nel mondo della moda le cose, lentamente, stanno cambiando. Ora, volendo, è possibile vestirsi cruelty-free secondo il proprio stile preferito e secondo le proprie disponibilità economiche, dalle scarpe al piumino, e vi sono sempre più nuovi materiali eco-sostenibili, dagli scarti vegetali di foglie di palma, mele, uva, a alghe e miceli. Le informazioni sulle crudeltà dello sfruttamento e dell’uccisione di milioni di animali per l’alimentazione e per l’abbigliamento sono ormai facilmente accessibili: si tratta quindi di assumersi la responsabilità delle proprie azioni, anche quelle apparentemente meno importanti – la scelta di un panino o di un paio di scarpe.
Cosa auguro per i prossimi dieci anni? Spero che Università e Scuole siano sempre più luoghi di crescita per un mondo diverso, fatto di rispetto e convivenza pacifica tra animali umani e non umani; spero che saranno sempre più gli imprenditori e le imprenditrici che investiranno in prodotti vegan e eco-sostenibili; spero che tutti noi consumatori saremo sempre più responsabili e attenti, evitando i troppi acquisti e i troppi sprechi e indirizzando le nostre scelte all’eco-veg.
Spero con VegFashion di potere continuare a condividere tutto ciò, e continuare a raccontare di un mondo che cambia in meglio – sempre troppo lentamente, ma cambia. E spero che si possa presto organizzare una meravigliosa sfilata eco-veg nella mia amata Venezia!

VegFashion